Tenet (2020) di Christopher Nolan

si torna in sala, postcoviddì, con un Nolan di un certo livello (per fortuna pure in lingua originale, anche se coi sottotitoli in italiano): coi suoi pregi e i suoi difetti, ma sempre meritevole di essere visto al cinema (nonostante ciò credo che non vedrò mai Interstellar, né andrò in sala a vedere il dodicesimo di Christopher Edward)
recensione di TENET con spoiler di onironautaidiosincratico.blogspot.it



La parola più associata, in italiano come in inglese, alle recensioni di Tenet è "mal di testa": è inconcepibile come cinefili, cineamatori, cineamanti et similia siano usciti così in massa dalle sale (per fortuna ha incassato, nel solo primo weekend, mancante del mercato americano, circa 57 milioni di dollari) con una tale confusione su chi fosse chi o cosa facesse. Di certo il film non è semplice, e di certo una seconda visione aiuterebbe a comprendere meglio alcuni dettagli o passaggi, però il film è godibilissimo, comprensibilissimo e non così tanto contorto; è ovvio che, se il cinema di fantascienza di riferimento è la marvel qui ci troviamo di fronte ad un’opera di tale complessità (visto che il fanboy medio di marvel per metà del tempo sta col cellulare in mano a commentare il film che non sta guardando o cercare trivia fique da condividere sui social per sembrare sagace ma anche simpa) che il pubblico abbisogna di un paio di spiegoni, che nel caso di Tenet sono fatti dalla inutilissima e vacua dottoressa col muro del pianto di proiettili e poi dall’amicone-compagnone che si rivelerà poi essere IL macguffin personale del protagonista.
Il film è un Bond nolanizzato: luoghi spettacolari inquadrati e fotografati come solo Nolan sa e può fare, esplosioni che esplodono, aerei reali che vanno a sbattere contro veri hangar, la camera che sta più fissa del solito, piani sempre più contorti con gente che si fida di superassassini purché sappiano una poesiuola; il tutto condito da un paio di spiegoni, lunghi troppo e pallosi tanto quanto inutili, che allungano un film che potrebbe essere una quarantina di minuti più breve. Però onore al merito per chi ha pensato a “è come pisciare controvento” che riesce a stemperare tutto (nonostante l’ironia lanciata qua e là sia poco convincente e spesso fuoriluogo) e spiegare molto bene quale sia la condizione dello spettatore medio molto più, e molto più chiaramente, dei vari “non cercare di capire, ma SENTILO” che è diretto allo spettatore quasi quanto il protagonista che dice “sono io il PROTAGONISTA di questa STORIA e dobbiamo finire, prendere in mano le redini e farla finire”. Oltre alla fisica a caso, le supercazzole fintoscientifiche, altro segno distintivo per il regista londinese è il montaggio alternato della scena finale superdrammatica dove tutto deve andare a buon fine in un intervallo di tempo talmente tanto preciso e minuscolo che basterebbe una mosca che fa una puzzetta 17millimetri più a destra del previsto per mandare tutto in vacca; ma per fortuna (cosa per niente scontata fin dall’inizio del film) il nostro PROTAGONISTA ce la fa, salva il mondo e noi riusciamo finalmente a capire che il vero regista di tutta la storia è il protagonista (e forse Nolan ci vuole dire anche che il vero protagonista sia il regista, che è un pò quello che si percepisce parlando del film: nolaniani contro anti-nolaniani, come se si dovesse apprezzare un film a prescindere dalle sue doti solo perché c’è un nome piuttosto che un altro sul cartellone). Piccola nota bondiana: Prya vorrebbe essere una M in salsa al curry, che però diventa una versione copiata, povera e con meno appeal, soprattutto se si paragona a Judi Dench.
L’unica, non tanto piccola, pecca sta nel fatto di aver provato a fare un film “per tutti”: un pò di comicità che si è visto funzionare nei film marvel, niente politica (basta dire che i cattivi son russi e chiunque ha una pletora di supercattivi a cui fare riferimento), niente sesso (e neanche romanticismo: qui vige una paternalistica e moralistica volontà di aiutare il prossimo che sembra sfociare nella più consolante e didascalica beneficenza), niente violenza, niente sangue e niente patriottismo (nonostante il protagonista sia un americano della CIA gli unici che piange sono i compagni di squadra, mai i connazionali). Detto questo il film è un ottimo film d’azione, con tutto perfettamente al suo posto: una colonna sonora spaventosa di un allievo di Zimmer (impegnato in Dune) che ne è degno erede e sfrutta in maniera efficace i suoi in reverse quando le scene sono inverse, il che, nonostante la fastidiosa onnipresenza della colonna sonora a commento di qualsiasi cosa succeda sullo schermo, rende avvincente ogni singola scena (anche quella di una regata in mare che si trasforma in un tentato omicidio). Questi suoni perfetti accompagnano delle immagini che sono memorabili: ognuna potrebbe essere la locandina del film e al contempo un meraviglioso quadro da ammirare in una bella cornice sul mobiletto all’ingresso.
Il cast è poi una delle cose più meravigliose che si possa pensare: John David Washington ha imparato piuttosto bene dal babbo a fare l’actionman, però con un minimo di intenzione attoriale; Robert Pattinson si dimostra un buon attore, soprattutto quando c’è un grande regista dietro la macchina da presa; Aaron Taylor-Johnson interpreta solo parti da soldato cazzuto e super competente; Elizabeth Debicki è bellissima (nonostante non raggiunga i livelli di una qualsiasi bondgirl) ed è anche fastidiosamente mamma; Himesh Patel è passato dai beatles ad aerei e barche (forse il fratello gli ha insegnato a navigare); Michael Caine fa l’inglese che percula gli inglesi, seduto, in un’unica scena dove avrà guadagnato un paio di fantastiliardi, ma ci sta tutto, e ci sta benissimo; Martin Donovan che “spiega” cosa sia tenet e usa il segno che dovrebbe essere simbolo del film ma si vede una sola volta in tutti i 150 minuti; e poi c’è lui: Kenneth Branagh, un meraviglioso e perfetto cattivo, che fa metà film da solo, con le sue pazzie, idiosincrasie da classico russo cattivo dei film USA, che però, nonostante la banalità e la scontatezza delle sue azioni, riesce a emozionare, anche se non abbastanza da far empatizzare il pubblico; da qualche parte, per pochi minuti, si trova anche una sempre affascinante Clémence Poésy che però riesce solo a dire al protagonista di “sentire la storia, senza capirla fino in fondo” che è forse un suggerimento del regista al pubblico che è gnomico quanto inutile.
Il sonno della ragione genera mostri è il fulcro della prima parte, dove gli spettatori si addormentano all'opera: oltre alle supercazzole di fisica termonucleare ci sono pure queste citazioni artistico-storico-letterali che culminano nel quadrato del sator (qui e qui due brevi e interessanti, seppur completamente opposti, video che spiegano un pò la sua storia e le sue interpretazioni); il problema di tutte queste “aggiunte” al film, di tutto questo crogiuolo di roba, robaccia e robetta, è che si affronta tanto (un così grande quantitativo che molti recensori ci si perdono all’interno senza considerare il resto) e che però non viene approfondito in nessun aspetto, tutto serve un attimo per collegare due personaggi, per farli incontrare e poi non se ne parla più (forse il buon Christopher senza il fratello Jonathan non riesce a dare il meglio, ma è solo un’ipotesi che non viene confermata dalla buona riuscita delle collaborazioni tra fratelli Nolan).
Altro piccolo difetto è l’autocitazionismo: ok che all’undicesimo film inizi a sentirti un pò megalomane, si passa pure sopra al fatto che quando ti permettono di fare schiantare un vero aereo contro un vero hangar e ti danno anche 400milioni di dollari ti senti giusto migliore degli altri, però le autostrizzatine d’occhio che manco JJ anche no, perché inizi a diventare fastidioso e soprattutto diventano inside-joke che coglie solo chi ti segue fin dal primo film, quando invece citare gli altri, omaggiarli e anche rubacchiare le cose migliori è un gesto di amore verso il cinema e l’arte che rappresenta e non autoerotismo da fanboy finto-cinefilo e pseudo-nerd (su tutti il finale che è solo il punto medio dell’amicizia da serie bromance).
Dopo tutte le analisi tecniche o presunte tali, il film rimane un bellissimo quanto arzigogolatissimo spettacolo, da vedere in sala e anche a casa (ma meglio in sala, soprattutto per quanto riguarda il comparto audio, che il buon Ludwig Göransson (il nome è di quelli che ci si ricorda nell’ambito musicale) cura nei minimi dettagli, glossando le scene, soprattutto quando protagonista e pubblico devono, e lo sono, essere confusi. Il film quindi merita una visione in sala (a chi dice che serve una seconda o terza visione per comprenderlo a pieno verrebbe da consigliare di guardare o leggere qualcosa di un filino più complesso e contorto, con tante domande aperte e nessuna risposta, ma si diverrebbe cattivi) e sicuramente sarà fonte di tante discussioni tra amici nerd/fisici e altri più letterati che cercheranno tutte le implicazioni filosofiche del caso e anche del cazzo.



per chi avesse avuto problemi c'è anche l' immagine con la "spiegazione" grafica di tutti i movimenti avanti e indietro nel tempo, anche se la scusa grafica del rosso/blu sembra abbastanza didascalica e a prova di sciemo; qui invece una raffinata e mai banale interpretazione del concetto di inversione


 

oltre alla recensione veloce uno dei millemila making of
P.S. presenti spoiler

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