La classe operaia va in paradiso (1971) di Elio Petri

il #martedìfilm sembra aver preso piede, ormai l’universo intero il secondo giorno della settimana (secondo l’organizzazione data dai caldei semiti undici secoli prima della venuta di Cristo), alle 21:15 ora secondo il fuso GMT+1, si ferma e aspetta trepidante cosa succeda nella stanza di watch2gheder dedicata, stavolta eravamo in 4 (ben lo 0.00000000057142857 % della popolazione mondiale, quindi è VIRALE, più del #coronavirus
recensione di la classe operaia va in paradiso di onironautaidiosincratico.blogspot.it

come sempre, prima della recensione una breve presentazione di ogni partecipante (nome, età, occupazione, piatto preferito, città)
Alexa: 25, donna, "data analyst", parmigiana, dublino
eRica: 27, donna, studentessa, patate, catania
Fabrizio: 30, uomo, ingegnere, pasta, torino
Pietro: 31, uomo, studentepartimeincercadilavorofulltime, pizza con kebab, catania



1. riassumi la trama in 140 caratteri
A: Tutti bravi con il culo degli altri: prima col padrone poi compagno.
e: Il film mostra uno spaccato della vita di un operaio stakanovista che si rende conto della sua condizione.
F: Lulù, operaio di fabbrica, da schiavo del capitalismo prende coscienza di classe e cerca di evadere dalle sue gabbie
P: un operaio stakanovista si infortuna e scopre quanto merde siano i padroni e inutili i sindacati

2. che ruolo ha la colonna sonora?
A:
e: La colonna sonora è una coi controcazzi! Supporta tutto il film, coinvolge ma non sovrasta le immagini, né tanto meno infastidisce lo spettatore. Inoltre, dal punto di vista sonoro il film è molto più caratterizzato dalle urla al megafono che da musiche particolari.
F: La colonna sonora di Ennio Morricone rimane impressa (così come qualsiasi altra del Maestro). Aiuta a rendere il senso della follia incombente, sottolinea il grottesco della vicenda. Anche i suoni diegetici accompagnano splendidamente la narrazione, creano un commento perfetto alle immagini.
P: devastante (guardacaso firmata dal buon Ennio): il cinema è racconto per immagini, e in questa pellicola, oltre alle meravigliose immagini di Petri abbiamo le meravigliose note di Morricone, con un rumore metallico generico da industria, che ricorda molto una scarica di mitra e che sottolinea i momenti topici del film

3. che ruolo ha la famiglia?
A:
e: La famiglia è il motivo che spinge Lulù a lavorare tanto, visto che ne ha praticamente due da mantenere. Non è presentata come un’unità stabile, ma anzi come una ulteriore difficoltà di vita, una cosa che non bilancia l’alienazione della fabbrica ma che ne viene destabilizzata.
F: Qui Petri mostra un'immagine diversa della famiglia. Questa, a differenza della sua concezione nella cinematografia mainstream, non è (necessariamente) una salvezza. Abituati a vederla come un porto sicuro, scopriamo invece che non lo è affatto. Rapporti fondati sulle convenzioni oppure sull'utilitarismo, menzogne espresse sapendo di mentire costruiscono un ambiente ostile per Lulù, che lavora sempre di più per evadere da questa alienazione. Il film è quindi la ricerca della libertà da parte di Lulù per liberarsi dalle catene imposte dalla società.
P: come sopra: DEVASTANTE: Lulù ha due famiglie: la prima che ha perso per la sua violenza e che non lo sopporta più, e la seconda che è lui a non sopportare, fatta da una parrucchiera e da suo figlio; la famiglia è ciò che spinge Lulù a lavorare di più, non tanto per i soldi, quanto per stare il meno possibile in casa, e poter usare il lavoro come scusa per non assolvere ai propri doveri coniugali con la povera Lidia

4. come la follia entra nella fabbrica e la fabbrica nel manicomio?
A:
e: La follia in fabbrica è data da tanti fattori: dal dover urlare continuamente per il rumore, dall’alienazione dovuta al ripetersi continuo degli stessi movimenti, dallo stress emotivo nel rincorrere un livello di produzione sempre più alto ma senza avere mai tra le mani l’esito reale del proprio lavoro. La fabbrica entra nel manicomio tramite il personaggio di Militina, un vecchio operaio, che ne coglie le similitudini: nel manicomio è sempre tutto uguale, come alla fabbrica.
F: Lulù all'inizio si trova in una posizione apparentemente privilegiata, premiato dai padroni e dai loro gregari. Questa posizione è solo di apparente vantaggio, lavora più dei suoi colleghi, viene mal visto da questi ultimi, la sua vita familiare non è felice, la sua vita sessuale nevrotica. La pressione, causata da questa nevrosi e dallo stress, monta dentro Lulù fino a scoppiare nel momento in cui perde un dito. Da quel momento realizza la coscienza di classe, si rende conto che quella vita lo porterà alla follia, rappresentata qui dal suo amico Militina. Le cose non vanno bene per lui, perché, ormai cosciente, è considerato estraneo al sistema e attaccato dai suoi anticorpi. Se il sistema non può allontanare, può sempre assimilare. Infatti Lulù viene reintegrato in fabbrica, reso inoffensivo e docile. Il finale è quindi amaro per il protagonista, consapevole di avviarsi alla stessa fine di Militina, per cui ha sempre avuto un misto di stima e compassione.
P: la follia scivola come un olio lubrificante dentro gli ingranaggi degli operai, lenta ma inesorabile, ogni giorno di più, ogni giorno più in profondità, le urla (sia dentro che fuori), il costante confronto con la produttività altrui determina un clima di scontro e lotta tra poveri che di certo non aiuta la serenità del singolo e il suo rapportarsi col resto del mondo. A metà film, così, di botto, senza neanche capire perché si entra in un manicomio (primo motivo per cui il film oggi sarebbe invendibile, per tutti gli altri vedi risposta punto 6): dove Militina funge da folle grillo parlante e aiuta Lulù nel suo percorso verso l’inevitabile e alienante finale.

5. cast adeguato o cambieresti qualcuno?
A:
e:tutti molto bravi, forse qualche personaggio minore non perfetto, ma niente di che. Ho trovato molto convincenti anche gli attori bambini e mi ha colpita particolarmente l'interpretazione di Mariangela Melato nel ruolo della moglie di Lulù.
F: Volontè e Petri sono una "squadra fortissimi". Insieme riescono a creare personaggi indimenticabili, come Lulù in questo film o il Dottore in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Volontè attore fondamentale della sua generazione, qui mostra tutta la sua flessibilità interpretando un uomo sfatto, nevrotico, che mostra più anni di quelli che ha. Mariangela Melato è un altro mostro sacro del nostro cinema, interpreta perfettamente la donna opportunista milanese, qui in veste proletaria in contrapposizione con la snob borghese di Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto. Menzione particolare per Salvo Randone che delinea in modo forte l'uomo folle, masticato e sputato dalla società capitalista, un personaggio che forse (o forse no) ha trovato quel paradiso del titolo.
P: perfetti, tutti: i bambini tutti molto bravi (soprattutto il figlio di Lulù, molto adulto e riflessivo: una sorta di grillo parlante per il padre); Gino Pernice è un perfetto sindacalista paraculo, che pensa chiaramente prima a sé e alla sua posizione e solo dopo a tutto il resto; identico nei risultati, ma diverso nei comportamenti è Luigi Diberti nel ruolo di un altro sindacalista, ma anche nel nuovo compagno, e nuovo papà, del figlio di Lulù, che ne è avversario su un campo, ma compagno su un altro; Salvo Randone, un mellifluo e folle Militina, riesce a raccontare la condizione dell’operaio e la follia che deriva dall’alienazione della fabbrica e della sua catena di montaggio; ottima come sempre Mariangela Melato, bella di quella bellezza vera, naturale (nonostante sempre truccata pure a letto) e perfetta nella parte della moglie innamorata e devota, nonostante tutto; last but not least (Fabrizio suca) un monumentale Gian Maria Volontè (che è italiano, non francese come alcune mentecatte pensano sui social [che il Dio del cinema le abbia presto in gloria]) che riesce a fare un uomo comune, nonostante il suo innato ed innegabile fascino, che sclera nella fabbrica nella quale aveva creduto fino al dolore fisico (“un culo, un pezzo...un pezzo, un culo…”), che lo distrugge e lo disintegra, fino a farlo diventare un docile cagnolino, che torna in fabbrica, essendo a conoscenza di quale sarà il suo destino.

6. questa l’accoglienza all’epoca, cosa pensi succederebbe oggi ad un film del genere?
A:
e:Oggi credo ci sarebbe più indifferenza, magari un po’ di clamore i giorni dell’uscita, ma niente di che. Probabilmente la maggioranza non si renderebbe neanche conto dello spessore delle critiche alla società contenute nel film e banalizzerebbe il tutto con commenti tipo “che film esagerato/palloso”.
F: Se ne parlerebbe per due giorni, poi non fregherebbe niente a nessuno. In effetti sotto questo aspetto il film è meravigliosamente inattuale, così lontano dal sentire di oggi. Inattuale perché, pur essendo ancora viva e presente la condizione alienata degli operai, la consapevolezza del loro stato è annebbiata dagli strumenti del capitalismo. Le masse sono ovattate dal consumo di prodotti, il pensiero autocritico viene smarrito, le coscienze rimangono a dormire.
P: nessuno lo guarderebbe, nessuno lo guarda, nessuno ne parla: oggi c’è quasi esclusivamente disney (con marvel e tutti i quarantamila film marvel, e poi con la saga-che-è-durata-quarantanni degli jedi che hanno abbondantemente rotto il cazzo), qualche fast&furious, commedie fatte in italia (che della commedia all’italiana non valgono manco i rotoli di carta igienica nei bagni chimici), senza dimenticare i musicarelli, che tra remake disney in liveaction (qualcuno poi mi spiega che cazzo di live action è quello del releone, ma vabbè son io pazzo) e lalaland vari hanno ripreso auge in sala. L’analfabetismo funzionale impedisce agli ebeti che affollano sale cinematografiche (sempre meno) e pagine che dicono di parlare di cinema ma non ne capiscono un cazzo (sempre di più) di comprendere come questo film rappresenti non l’operaio in sé, ma lo sfruttato, che oggi è seduto in un ufficio open space tanto carino, con l’aria condizionata e il wifi a 1gigabit, la palestra sotto e l’area relax con i giochi di società per favorire il teambuilding. Il tema veramente importante è quello dell’unione dei lavoratori, degli sfruttati sottopagati contro il potere, nel film rappresentato, al massimo dall’INGEGNERE, che è l’unico simbolo di una classe dirigente che sempre più si allontana dai luoghi di produzione (che siano beni o servizi poco cambia), diventando sempre più irraggiungibile e altera, quasi aliena alla fabbrica stessa, non più identificabile e quindi contrastabile. Eppure l’epifania data dall’infortunio di Lulù, fino ad allora considerato un leccaculo-stakanovista che cerca di ingraziarsi il potente con la propria efficienza, rende tutti uguali e pronti a combattere, nonostante per poco e con solo un piccolo risultato, però unifica e rende finalmente consapevole la classe operaia del titolo del suo potere. Il problema, come in molti ambiti è stato ed è ancora, è la mancanza di consapevolezza del proprio potere numerico da parte di gruppi così vasti e che si trovano in posizioni estremamente variegate: donne, operai, dipendenti di una multinazionale, ragazzi dei call-center, fattorini di amazon basterebbe mettersi d’accordo e fare uno sciopero, anche leggero e senza pretese, per dimostrare che il potere ce l’hanno i numeri; ma il problema son sempre le ambizioni personali, il voler scavalcare l’altro e l’accontentarsi di essere “meglio del vicino” per essere felici e sentirsi potenti all’interno del proprio piccolo recinto insignificante. Dopo questo pippotto filosocial-moral-comunista concordo con Erica: metà della gente non lo andrebbe a vedere in sala evitandolo come la peste e dicendo “è una palla assurda, io al cinema vado per distrarmi” (come se un buon film di genere, qualunque esso sia, non possa distrarre dai tuoi problemi del cazzo della tua insulsa vita); della rimanente metà un quarto lo dichiarerebbe di volerlo vedere in streaming da qualche parte (perché ovviamente i film disney DEVI vederli in sala per foraggiare una delle più potenti multinazionali, invece i film piccoli li scarichi, così gli stronzi che si son fatti il mazzo non vedono un euro manco col binocolo); del rimanente quarto un ottavo direbbe che non si interessa di politica (che è come dichiarare al mondo di essere figlio di una meretrice che svende il suo corpo per pochi spiccioli, ma non per bontà verso il prossimo, quanto per mancanza di autostima); dell’ottavo rimasto che lo vedrebbe (e sono estremamente e esageratamente ottimista) un sedicesimo non lo capirebbe e l’altro sedicesimo si sentirebbe talmente tanto solo e stronzo da non sapere se parlarne o meno, anche perché si scontrerebbe con gli altri quindicisedicesimi...
il fruscio ne parla (la recensione di "La classe operaia va in paradiso" inizia a 14:20, ma tutto il video merita di essere visto, e anche la prima parte e anche gli altri del canale)





Commenti

ARCHIVIO

Mostra di più