Ai no Korīda (1976) di Nagisa Ōshima #PleasureofPain

partecipo con immenso onore e con un peso di responsabilità non indifferente all'iniziativa del buon Saverio su Obsidian Mirror (invito tutti a visitare il sito e controllare lo stato dello speciale, come tutti gli altri, pieno di tanta roba interessanterrima). Partendo dal tema dello speciale, ovvero quello del rapporto tra piacere e dolore non ho potuto che cogliere la palla virtuale al balzo e buttarmi sull'impero di Ōshima..
recensione l'impero dei sensi onironautaidiosincratico.blogspot.com
Giappone 1936, i soldati si preparano ad andare in Manciuria per l'incidente del ponte di Marco Polo, una serva appena arrivata in questa casa buona di Tokyo scopre che il suo padrone gradisce approfittare delle giovani cameriere, pensando che delle occasionali prestazioni sessuali siano comprese nel compendio che elargisce alle giovani signorine. Per i servi questa cosa è abbastanza normale, nessuno se ne sconvolge più di tanto, e anzi molti escono dalle stanze o passano lì vicino evitando i due corpi avvinghiati come se stessero scansando un sacchetto posato sul pavimento. Per essere un film del '76, non dichiaratamente porno (seppur molti lo han tacciato di esserlo), c'è tanta roba, tutta normale, niente di sconvolgente o particolarmente atletico, ma il sesso è presente in ogni parte, liberamente e serenamente condiviso, senza mai essere morboso o eccedere nel mostrare quel che succede in scena.
Il sesso è il vero potere, universale ed eternamente valido: l'amore è solo una delle sfaccettature del sesso, compreso il violento estraniamento a cui porta; i due protagonisti ne sono inizialmente conquistati, poi sempre più dipendenti, fino al finale tragiromantico. La spirale discendente porta Sada (il nome sembrerebbe un chiaro e didascalico riferimento a Donatien-Alphonse-François de Sade, signore di Saumane, di La Coste e di Mazan, marchese e conte de Sade) e il povero Kichizo (vittima alla fine, ma carnefice fin dall'inizio) finiscono per superare il piacere, approdare nella fosca baia del dolore, dove tutto si fonde, di sperimenta, si deve andare oltre, per scoprire cosa riesce a far godere e cosa no: l'orgasmo diventa solo un pretesto per spingersi oltre, per tastare nuovi lidi, per spingere il proprio corpo oltre il limite, per scoprire fino a dove questo limite si può spingere. Oggi ormai non turba né sconvolge più di tanto scoprire che è una storia vera, ma di certo alla fine della visione già una riflessione parte, e questo aggiunge un tassello enorme alla riflessione: fino a che punto si è disposti a spingersi per godere, per far godere il proprio partner. Il film non è come le 50 sfumature (banale e molto visuale): qui il dolore c'è, si vede, si percepisce, è palpabile in ogni sguardo tra gli amanti, in ogni discorso che ognuno di loro fa con gli altri. Inutile dire chi comanda e chi è comandato: anch'esso chiaro e cristallino fin dalla prima scena dove sono solo loro due a riempire lo schermo; viviamo con loro la camera da letto, con qualche uscita fuori nel mondo esterno (un treno, un'altra camera da letto, i soldati in partenza per la Manciuria e nulla di più). La storia è vera: l'originale Sada Abe fu condannata a 6 anni per l'assassinio del compagno di giochetti, ma ne scontò solo 4 per buona condotta e simpatia nei confronti della corte (la donna, durante il processo, accettò tutti i capi d’imputazione fra i quali omicidio e mutilazione, ma non l’accusa di essere una pervertita sessuale, fino a vincere la sua piccola battaglia facendosi visitare da un team di psichiatri che la dichiararono ninfomane e non hentai-seiyokusha). In Giappone il doppio suicidio d’amore (shinju) era tradizionalmente considerato un atto dall’alto valore estetico, ma Sada non ha mai pensato di morire; il doppio suicidio andava bene per la società giapponese, ma non per Sada, lei voleva solo agire.
Empedocle, Socrate, Platone e Freud sono i teorici (non i soli ma di certo i più famosi) di questo dualismo (philìa/neikos - eros/thanatos) che viene declinato a proprio piacimento in tutte le varie epoche storico-politiche: da dio primigenio che move il sole e l'altre stelle, fino a "semplice" sentimento tra due, o più, persone; passando per Humpty Dumpty carrolliano fino alla forza cosmica di Socrate; tutto questo perennemente in contrapposizione al caos, al disordine, alla morte, in una dicotomia che in occidente si è sempre cercato di rendere chiara e evidente, quasi come se ci fossero buoni e cattivi identificabili facilmente e che non potessero che rimanere in quella categorizzazione per sempre. Gli orientali, nello specifico i giapponesi, han sempre creduto, e continuano a credere, che questa dicotomia non esista, che lo ying e lo yang coesistano in ognuno di noi, che la manifestazione dell'uno e dell'altro possa avvenire in base allo stato d'animo e alla situazione del singolo, che non ci sia una chiara e specifica distinzione tra giusti e ingiusti, e in questa pellicola si percepisce l'assenza di giudizi morali e al contempo l'assenza di ogni giustificazione dei due (problema che ha portato il cinema americano soprattutto degli ultimi tempi, a partire da Shrek, a giustificare tutti i cattivi, facendoli diventare in fondo un pò meno cattivi, e se son cattivi la colpa non è di certo la loro).
Uscito in italia col titolo francese L'empire des senses  (forse per il successo alla ventinovesima edizione del festival di Cannes) pesantemente mutilato, ottenne il giusto riconoscimento solo negli anni '90 con una VHS con titolo Ecco l'impero dei sensi, in una riedizione non censurata, (forse l'ecco dell'ultima versione è forse uno sfogo del distributore che quasi vuole dire "finalmente ve lo possiamo far vedere"); l'originale La corrida dei sensi ha molto più senso (senso dei sensi, tra il senso e il sensazionale) ma vabbé al solito in Italia non c'è mai stato un buon rapporto coi titoli, tranne per quelli di Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich. 
A proposito di registi, il buon Ōshima muore nel 2013 povero e pazzo dopo anni di silenziosa malattia, dopo averci regalato il Furyo di Bowie e esser rimasto sempre fedele al racconto dell'eros in tutte le sue sfaccettature. Questo film ha tutte le caratteristiche del cinema giapponese classico: colori desaturati (come quelli dei quadri, erotici e non, della tradizione giapponese); regia semplice, quasi da teatro; sceneggiatura ridotta all'osso; pochi personaggi; scenografie curatissime e quasi sempre interne.

"Un corpo che, però, non smette mai di essere anche merce, fra lame e seta, fra amore e sesso, fra piacere e violenza."


Commenti

  1. Non ti ancora fatto i complimenti (ma rimedio adesso) per l'ottimo articolo! La scelta del titolo tra l'altro è centratissima. Grazie Mille!

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    1. Grazie a te per l'onore e il "piacere" di poter scrivere sulle tue righe di codice... l'iniziativa è meravigliosa: con la scusa si conoscono altri blogger e si approfondisce un argomento da millemila punti di vista; è quello che vorrei fare anche io certe volte, ma gli 0lettori e i pochi "amici" blogger me lo impediscono. Spero che questa sia la prima di una luuuuuuuuunga collaborazione...

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  2. "Un corpo che, però, non smette mai di essere anche merce, fra lame e seta, fra amore e sesso, fra piacere e violenza."
    Vorrei sapere se questa è una citazione (e di chi) oppure se l'ha rilasciata Oshima in una delle sue interviste (quale).


    Grazie

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    1. ricordo di averla presa come sua dichiarazione durante un'intervista, ma ora non sto trovando l'origine o la fonte...

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  3. "Un corpo che, però, non smette mai di essere anche merce, fra lame e seta, fra amore e sesso, fra piacere e violenza."
    Vorrei sapere se questa è una citazione (e di chi) oppure se l'ha rilasciata Oshima in una delle sue interviste (quale).


    Grazie

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