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by
Pietro Donganagungatulaganacongo Sidoti
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Film metacinematografico, metateatrale, metavitale, metaonirico, metatutto.
Quando Gunnar "torna" e scambia alma per elisabeth, quest'ultima è messa su un trasparente, su un altro livello, non perché Bergman non fosse capace di fare un'unica inquadratura, ma solo per evidenziare la distanza di tutta la situazione dalla realtà.
Il bianco e nero è accecante, ogni passaggio è bene evidenziato da un fascio di luce, di cui spesso ignoriamo l'origine, ma poco importa.
Le inquadrature sono strette, prevalentemente primi o primissimi piani, ad evidenziare l'importante del volto, della recitazione.
Dialoghi quasi assenti, se non nella prima parte del film; per il resto abbiamo quasi solo monologhi, ma monologhi involontari, causati dal mutismo del proprio interlocutore, quasi un mutismo divino, dove la persona comune, in questo caso Alma, oltre a parlare deve immaginarsi pure le risposte e rispondere nuovamente a sua volta di conseguenza.
Il film sul doppio, con due protagoniste donne, sul loro scambio, sul loro rapporto, non solo professionale o d'amicizia, che ritroveremo poi in Mullholland drive (anche lì la protagonista è un'attrice).
Il sogno e la realtà si fondono, fin dalla prima scena, e niente e nessuno può spiegarci quando sia sogno e quando realtà, è tutto mescolato insieme,
Il film non va spiegato nè capito, va visto e goduto, nient'altro. I silenzi sono tanti, tutti utili, giusti al momento giusto, e davvero in quei momenti il regista ci spiega molto più.
Film metacinematografico, metateatrale, metavitale, metaonirico, metatutto.
Tagged: 1966 , Bibi Andersson , drammatico , Gunnar Björnstrand , Ingmar Bergman , Jorgen Lindström , Liv Ullmann , Margaretha Krook
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