OFFBLOGTOPIC #3 - Non so niente di te (2013) di Paola Mastrocola

libro letto "su commissione" di una cara amica, che fin ora mi ha sempre spacciato ottimi libri, fin ora...



La trama non è molto semplice: Fil è un ragazzo che studia all'estero, esattamente a Stanford, per un PhD in economia, ma improvvisamente viene avvistato dalla ex ad Oxford, a capo di un gregge di 200 pecore, mentre entra al Balliol College. La notizia rimbalza in Italia, non propriamente a tutti, e da lì parte la storia vera e propria, forse, del romanzo: la ricerca di Fil e la ricerca, forse più interessante per il lettore e anche per la famiglia, della motivazione della passeggiata con pecore al college inglese. Di qui viaggi, cene, incontri, amori, passioni e studi si incontreranno e scontreranno fino ad una soluzione finale buonista e fin troppo semplice.
Ci troviamo però di fronte ad un racconto corale, dove non si capisce fino alla fine chi sia il protagonista reale: di tutti abbiamo una traccia, conosciamo qualche consuetudine, qualche passione, o la reazione a determinate situazioni, ma di nessuno conosciamo bene la storia che lo ha portato lì o la sua indole. Ogni capitolo è dedicato ad un personaggio, o ad una azione/situazione, e questo un pò spiazza, impedisce una comprensione a fondo delle ragioni dell'uno o dell'altro, del perché questo o quel personaggio agiscono proprio in quel modo. In questo modo la lettura risulta poco scorrevole, spesso, iniziando un nuovo capitolo, ci si chiede che collegamento ci sia con quello precedente o con la storia in genere, e finito il libro, non lo si capisce. Alcune parti risultano inutili, e sembrano solo messe lì a riempire il libro per farlo di 200 pagine (un esempio su tutti è il rientro di Jeremy a casa, con la nonna che gli cucina tutti i piatti della sua infanzia, e lui che si rende conto di esser stato 10 anni lontano da casa e che la nonna è, nel frattempo, invecchiata).
Altro problema è il tempo: si parte dal Balliol college con le pecore, poi si torna indietro, poi si va avanti, poi un altro flashback, e di nuovo si torna ad oggi, per finire con un unico flashforward incomprensibilmente buonista e impalpabilmente lontano nel tempo.   
Il libro parla di borghesi, è scritto per borghesi (non sono riuscito a trovare/capire cosa sia il reves su cui zia Giagiù mette la sua spilla nuova), e sembra scritto da una borghese (anche se la scrittrice è una docente di italiano, che insegna a Torino dopo esser stata un pò a Uppsala a insegnare italiano).
Il libro vuole essere pure didattico e didascalico: ovvero spiegare a noi giovani (a 25 anni, da studentesso universitario, mi autoproclamo giovane) come seguire i nostri sogni senza ledere i sentimenti dei parenti, né tantomeno i loro propositi per le nostre vite.  I problemi sono più d'uno:
- il buon Fil è figlio d'avvocato che se la passa molto più che bene, quindi che voglia fare l'antiquario, il pastore o il musicista può farlo tranquillamente senza preoccuparsi di cosa mangiare. Pure quando va a fare l'aiuto pastore lo va a fare presso un conte...;
- gli adulti sono più confusi e frustrati dei giovani, e causano la maggior parte dei problemi;
- tutti, anche Jeremy che alla fine "riesce nella vita", studiano perché obbligati dai genitori.
Altro problema grave è quello dei personaggi: ce ne sono tanti (TROPPI!), e di molti il ruolo all'interno della storia non è ben chiaro (oltre ad una caratterizzazione con l'accetta per tutti). Alcuni personaggi hanno un'ulitità pari a 0:
- metà della famiglia Cantirami ci viene presentata, ma non ha nessunissimo ruolo in nessuna parte del romanzo;
- la nonna di Jeremy serve solo a farci una moralina sullo studio e l'impegno che a qualsiasi giovane verrebbe voglia di picchiarla e strozzarla con i suoi stessi spaghetti;
- la zia Giagiù sembra una ninfomane repressa che si innamora di ogni uomo che incontra;
- la sorella di Fil il cui ruolo è fare una pallidissima critica al giornalismo, compresa una critica a chi critica Berlusconi nauseabonda.
Altri personaggi invece riescono a starci antipatici:
- Fil il non-protagonista fa discorsi da gombloddista e non da economista;
- Jeremy, quando parla con Giagiù, sembra un poeta, piuttosto che un economista in odore di laurea;
- Fil e Guido che scrivono le lettere, non le mandano (uno le cestina e l'altro le stampa per conservarle) e finiscono entrambi con "però è stato bello scriverla".
A parte i personaggi, la non-scorrevolezza dei capitoli, la morale non morale si arriva fino in fondo, e si tifa per Fil dall'inizio alla fine, odiando a periodi i suoi genitori e la loro eccessiva necessità di controllare la vita dei figli. La prima metà è lenta, sconnessa e distrae; al contrario la seconda sembra più scorrevole, forse perché meno frastagliata, e va via veloce (vogliamo sapere come finisce a Fil).
Il libro si fa leggere, si legge fino alla fine, non dispiace; consiglierei la lettura più alle madri che ai cciovani confusi sul proprio futuro.

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