Tano da morire (1997) di Roberta Torre

consigliato da un amico, che poi alla fine non se l'era manco visto, ma rompeva affinché lo vedessi io...in queste sere di ingozzamenti e digestioni infinite il divano mi ha conquistato, e Tano da morire è partito...


screenshot tano da morire onironautaidiosincratico.blogspot.com


Il film inizia con un funerale, ma di quelli belli, con gente che balla, canta, la banda che si diverte, che ti vien voglia di parteciparvi, in qualsiasi ruolo. 

La storia è quella vera di Tano Guarrasi, macellaio mafioso assassinato nella sua attività, ma in questa pellicola, la prima di Roberta Torre (una delle pochissime registe italiane, e delle altrettanto poche registe in tutto il mondo) ci racconta la storia delle sorelle di Tano, la loro vita prima e dopo la morte di Tano, con la gelosia e lo spirito, modificandone sempre e comunque secondo il proprio volere. 

Roberta Torre alla regia (in italia solo nelle fiction [pronunciato FISCION] o in quelle altre cose orrende su santi e benefattori) ed è sempre un piacere "vedere" una donna dietro alla macchina da presa. 

I palermitani son già scenografici di loro, col loro dialetto e la cantilena, che qui è sfruttata perfettamente per far gradire il musical a chi non piace, anche se qui è riduttivo l'appioppargli un genere, il voler limitare e vincolare questa meraviglia di intrattenimento audiovisivo: liti e risse al ritmo di musica, mafia spiegata e criticata tramite canzoni, attori improponibili, cantanti in playback ottimamente interpretati da impacciati professionisti della Palermo normale e quotidiana (un plauso ai titoli di coda, divertentemente didascalici), Tano che usa un gallo morto come microfono, mentre gli altri con salsicce e zucchine lunghe simulano tutti gli strumenti musicali. 

Tutta questa goliardia, questa voglia di divertirsi tramite anche effetti semplici, movimenti di macchina mostruosamente a mano ma mai fastidiosi, la mafia viene raccontata in una maniera inedita, in maniera molto più efficace di tanti altri film dell'epoca (e anche successivi). 

Il film racconta anche una violenza sulle donne, diversa da quella che oggi le fiction per "sensibilizzare" propinano ad un pubblico che ormai sembra più cercare dietrologie variegate e "temi importanti" che altro; qui la donna viene trattata male, finisce male e nessuno arriva per salvarla, né tantomeno è mossa da nobili ideali: semplicemente vuole allontanarsi da un fratello geloso e rompipalle (il cinema italiano ha forse bisogno di più film normali, semplici, che fanno vedere come reagiremmo a problematiche realistiche [per questo il successo di Smetto quando voglio, seppur poi stirato troppo per le lunghe, o di Lo chiamavano Jeeg Robot). 

In mezzo a tutto ciò le canzoni, curate da Nino D'Angelo, non sono semplicemente didascaliche (come spesso nei musicarelli) ma hanno testi profondi, studiati, forti, che hanno bisogno di più ascolti (anche per il dialetto utilizzato) e che alla fine entrano in testa per non uscirci quasi più. 

Rai, TelePIÙ, Ministero dei Beni Culturali e Città di Palermo, stranamente insieme per un'opera che, una volta tanto, merita i soldi pubblici. La fotografia di Ciprì, sodale artistico della regista per anni, si vede, e pure tanto, e fa un sacco piacere.

Tano alla fine, pure da morto, decide e disegna il destino delle sorelle, e forse il quadretto familiare finale rappresenta un pò la storia della Sicilia in genere e del suo rapporto con la mafia: ci si lamenta, si fa tanto casino, si cercano tante altre soluzioni, ma poi alla fine...


la recensione è stata scritta col loop di questa meravigliosa canzone in sottofondo
qui la recensione del maestro

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