Reservoir dogs (1992) di Quentin Tarantino

serata di recupero di filmoni: visto che l’amica mia ha visto solo robaccia non-violenta, proviamo a farle recuperare almeno le basi, così quando le si parla di cinema sa di che cazzo si parla…
recensione con alexa che mi paccherà de le iene di quentin tarantino

Molti registi sognano di fare un’opera prima così, quasi tutti i registi sognano di avere la carriera che ha fatto Quentin: da videotecaro a mostro sacro del cinema mondiale. In realtà doveva essere un episodio dentro Pulp Fiction, infatti MrBlond è Vic Vega, fratello del più danzereccio Vincent. A proposito di vicende strane e contorte la produzione fu di Bender e dello stesso Keitel (per questo i costumi son al minimo, come le location [il capannone è un deposito funebre in costruzione]); e in italia la prima distribuzione come “Cani da rapina” non ebbe molto successo, nonostante il voluto richiamo ai “Cani arrabbiati” di Baviana memoria; solo due anni dopo, in contemporanea con l’uscita di “Pulp fiction” fresco vincitore a Cannes, questo film ebbe il meritato successo, col nome de “Le iene”, che influenzeranno la cultura pop italiana fino a diventare simbolo di servizi giornalistici scandalistici di basso livello (è fantastico vedere come Mediaset faccia causa a qualcuno che sfrutta un suo prodotto, che è in realtà copiato da Tarantino.
La colonna sonora è da durello auricolare perenne, ogni brano perfettamente inserito dove è inserito, col massimo livello di figaggine raggiunta quando Mr.Blonde stacca l’orecchio al poliziotto in fuoricampo, con Stuck in the middle with you di sottofondo (di certo non è il primo a farlo, però che meraviglia quella scena) dove pure il testo assume un significato narrativo. Altra scelta meravigliosa è quella di far diventare spesso la musica diegetica quando parte extradiegetica e viceversa: parte un brano come una normale colonna sonora e poi un personaggio spegne la radio e si interrompe bruscamente (nonostante quando sia partita la musica nessuno aveva acceso quella radio) o dalla colonna sonora del film la musica passa alla radio della macchina in scena, poi si cambia quadro e torna sottofondo, e di nuovo dalla radio quando si cambia di nuovo; anche qui niente di innovativo ma completamente e violentemente immersivo per lo spettatore, che si sente parte della narrazione, si sente lì in mezzo, si prova empatia coi personaggi (anche, e soprattutto, per come son scritti).
Duecentosettanta “fuck” abbastanza resi bene anche in italiano, ma la lingua originale, soprattutto per le meravigliose interpretazioni, è tutt’altra cosa; dovuto sicuramente alla pochezza di mezzi, il film è molto teatrale: pocherrime location (e semplicissime) e tutto basato sugli attori (solo Keitel è famoso, tutti gli altri invece sono semi-sconosciuti, e diverranno per la maggiorparte feticci del regista, che li riutilizzerà in molte pellicole successive), che innalzano il livello qualitativo fino all’infinito e oltre. Nonstante Tarantino abbia scritto e diretto dei personaggi femminili spaventosamente forti e belli, in questo primo lungometraggio non c’è traccia di donne, in alcune scene se ne parla, ma se ne vedono una o due in tutto il film, e nessuna di esse dice neanche una battuta.
A parte qualche minuscolo errore di sceneggiatura (chi spara ad Eddie il bello nello stallo alla messicana?) e qualche problemino con la color correction (in alcune scene il passaggio da un’inquadratura all’altra comporta un salto di colore che manco il peggio Bay è in grado di dare) il film è perfetto: i dialoghi son magistrali (qui vediamo come Tarantino sia in grado di non far dire un cazzo ai suoi attori per più di 10 minuti, generando discussione e rendendo la scena interessantissima da più punti di vista). A proposito della prima, meravigliosa, scopiazzatissima e iconica scena: Madonna mandò un disco autografato a Tarantino dopo l’uscita del film, con la dedica “To Quentin. This is not about dick, it’s about love”.
Quello che fa Tarantino non è solo un citare (da “Il colpo alla metropolitana” di Joseph Sargent con Walter Matthau i nomi colorati; da “Cani arrabiati” di Bava sia il titolo che l’ambientazione, ripresa in parte anche da “Rapina a mano armata” di Kubrick; da “Django” la scena dell’orecchio [e sappiamo poi com’è andata a finire con questo personaggio], da “Il buono, il brutto e il cattivo” il triello) ma ricreare un amore e una ricerca per roba, e anche robaccia, che lui ha adorato e che gli ha permesso di amare questa che, una volta, era un’arte artigianale, mentre ora è solo saghe e business. 105 minuti in cui i personaggi vengono sviscerati (alla faccia di chi dice “eh no… le prime due stagioni di GOT son lente perché servono a presentare i personaggi”) tramite l’uso di flashback che Nolan levati. Tarantino morto, come accadrà, sempre peggio, nei film successivi, o quasi, e le scene dove lui recita son girate dal collegamico Robert Rodriguez (che anche lui girerà robetta negli anni successivi).

p.s. la recensione è piena di spoiler, dopo 27 anni chi non l’ha visto merita almeno di averlo spoilerato, che poi comunque 1 solo è il colpo di scena, quello di Freddy Newandyke che è un fottuto sbirro (per tutti quelli, Spike Lee compreso, che si son lamentati del linguaggio, soprattutto riferito ai neri, non credo che tra delinquenti ci sia un galoppante e pressante linguaggio politicamente corretto, nei confronti di nessuno).




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