Si muore tutti democristiani (2017) di Il Terzo segreto di Satira

pomeriggio, si vuol fare gli intellettuali, ma provando pure a ridere, e allora terzo segreto di satira sia...
recensione di Si muore tutti democristiani  di onironautaidiosincratico
Dodici milioni di visualizzazioni totali, collaborazioni con piccole radio, piccole aziende e pure con La7, una cinquantina tra attori e scrittori: il terzo segreto di satira viene fuori grazie alla rete, e dalla rete passa per finire in sala (un salto da 4 a 89 minuti) e come molti altri passaggi simili a questo il botteghino non ha premiato (gli italiani in sala prediligono cinecomics e commedia alla "bushodeculooo").
Le apparizioni di gomez, gruber, scanzi da oscar, anzi da telegatto, ma proprio subito. La storia è di tre quarantenni videomaker in cerca di svoltare: svolta che arriva, ma c'è da chiedersi "è meglio fare cose sporche con soldi puliti o cose pulite con soldi sporchi?". Ed è al punto di svolta, ma quella vera, quella da "centocinquantacappa" (che profumano di sogni e puzzano di cose che non si devono dire sennò le altre mani cosa pensano?) che la storia prende direzioni prevedibili, ma comunque divertenti; ognuno ha la sua storia, che ci viene raccontata con garbo e semplicità, ognuno ha le sue idiosincrasie e ognuno ha il suo modo di vedere il mondo, il lavoro e, soprattutto, i soldi (che comunque non fanno schifo a nessuno). La componente autobiografica è forte (per ammissione degli stessi autori in più di un'intervista), ma la quotidianità e "qualunquità" dell'evolversi degli eventi non dispiace, non è banale né stupida, magari prevedibile, ma non scontata. 

Commedia a tinte politicheggianti, che però affronta la politica come scelta, il compromesso come stile di vita: passare da essere antisistema, finendo per essere il sistema, dall'osteria verso i ristoranti chic, dalla birrozza verso lo spriz col bruscottone.Lo stereotipo è dello sfigato di sinistra senza un partito di riferimento, anch'esso autobiografico, del terzo segreto e di tutto il loro largo seguito. 
Triste e autoreferenziale, quanto verissima, la scena del documentario: nessuno tra il pubblico, tutti (tra i pochi presenti) ad autoesaltarsi e autovantarsi di qualcosa che non c'è, di un cinema morente, di un impegno sempre più impalpabile della società civile. 
La Milano raccontata è vera, bella ma cattiva, stronza, puzzolente, piena di traffico: non la città che si vede di solito nei film, ma una città vera, caotica. 
Le donne, seppur non protagoniste, son forti, belle, che dicono le cose come stanno, senza paura e senza time di nulla. 
Titolo meraviglioso: quasi quasi si rimpiangono, visti i governi e governanti che ci sono. 






geniale idea di fare un video su di sè col proprio stile

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