The End? L'inferno fuori (2018) di Daniele Misischia

visto al cinema (penso che sia questo il luogo del Cinema), ma per pigrizia e disorganizzazione l'ho dovuto vedere in un multisala, e non è stato per niente piacevole, ma per il Misischia questo e altro...
Il commento delle teenagers davanti a me ha reso tutta la visione migliore e più chiara (una diceva all'altra "eh ma ora che ha sparato tutti i colpi...se prova a sparare di nuovo non potrà farlo" oppure "ma tanto alla fine gli si scaricherà il telefono, magari durante l'intervallo gli portiamo un powerbank?"); se ne sono andate pure dieci minuti prima della fine, che possano morire soffrendo.
recensione the end di daniele misischia di onironautaidiosincratico.blogspot.it
Un kammerspielfilm in salsa zombie-romana (seppur la romanitudine sia moooolta poca, ad eccezione dell'intro [con dei meravigliosi timelaps]) di gran livello, con delle venature romeriane (soprattutto per l'analisi sociale dei personaggi), prodotto dai fratelli Manetti, che sembrano ormai essere gli unici italiani capaci di produrre un pò di cinema di genere nel """bel""" paese. 
Roja perfetto: passa dall'essere un gigantesco stronzo con l'autista o la stagista all'inizio, e anche con la moglie,  a diventare un disperato, in seguito all'infezione (si, perché in realtà, come direbbe capitan precisino del cazzo, quelli sono infetti, non zombie), che trasformerà anche lui. Il problema è che tutto il mondo circostante sembra trasformarsi solo ed esclusivamente quando è in contatto con lui, che sia per telefono o tramite interfoni o citofoni avviene sempre tutto "in diretta" col nostro Claudio. La storia narrata non è una storia horror, di zombie/infetti ma solo l'impotenza di un uomo contro un'orda, ma ancor di più di un uomo bloccato, ed è proprio in questo la genialità e la forza del film: tutto in una stanza, tutto lì dentro, tutto in una giornata, senza soluzione di continuità, senza salti tecnici o stilistici, senza addobbi o ghirigori, ed è proprio qui che si vede un buon regista (al primo lungometraggio distribuito, ma che già aveva dato sul web soprattutto). Tantissima macchina a mano, senza però diventare un nausea-movie, con la giusta musica al posto giusto, una regia semplice ma efficace, senza fronzoli senza estremi in alcuna direzione. Gli zoom invece sono in quantità esagerata, come negli anni '70, ed è meraviglioso, perché mai son di troppo e mai fuori luogo. Nella stessa direzione i dialoghi: reali, normali, fatti da persone normali in situazioni assurde. 
Non si vede uno zombie fino a 40/45 minuti, e tutta l'infezione la vediamo attraverso le interazioni del protagonista col mondo esterno, che verso la fine ha pure l'accendino scarico: oltre il danno la beffa. Tubo dell'ascensore che manco i meglio tubinnocenti da 20 ricavati dal pieno!
Carino il cameo Tarantiniano, con lo stesso esito, anche se non è visibile
Durante tutta la visione una domanda sorge spontanea: perché i film di zombie/infetti sono ambientati in universi dove nessuno ha visto zombie di Romero, o neanche 28giorni dopo?
Alla fine giacca e orologio vengono recuperati, quasi come un inizio di ritorno alla normalità, o forse come residuo di umanità, un piccolo, minuscolo barlume di speranza in fondo al tunnel della violenza, della cattiveria, della sopraffazione dell'altro, della paura del diverso, del movimento amorfo in massa contro un nemico comune, che in fondo è come noi, molto di più di quanto pensiamo.


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