Three Billboards outside Ebbing, Missouri (2017) di Martin McDonagh

le arene sono la salvezza per chi, come me, durante l'anno convenzionale, diserta le sale...in più il fascino del cinema all'aperto e degli 'nciminati (grissini arrotolati tipo pretzel e coperti di semi di sesamo) è impareggiabile

recensione tre manifesti a ebbing onironautaidiosincratico

La domanda che corre lungo tutta la pellicola, in lungo e in largo, senza sosta dalla prima all'ultima immagine è "il fine giustifica i mezzi?!". 

Conosciamo la protagonista: una mamma che soffre, tanto, ancora, che non ride più, ma che non si è ancora arresa; una mamma che decide di affittare 3 manifesti su una strada che nessuno percorre più, a meno che non si perda, per un anno: tre manifesti semplici, rossi con scritta nera, che chiedono giustizia per la figlia rapita, stuprata mentre moriva e poi bruciata. Una meravigliosa Frances McDormand (vincitrice dell'Oscar, strameritatissimo) porta sullo schermo un personaggio vero, forte, violento quando serve (più con le parole che coi gesti, seppur non scherzi neanche con questi ultimi), una donna che soffre, e che vuole forse più giustizia che vendetta, ma che in fondo cerca solo quest'ultima. 

I personaggi sono semplici, quasi stereotipati, senza però esser mai banali; quello che la sceneggiatura, intelligentemente, fa è farli evolvere tutti in maniere assurde, o perlomeno inaspettate. L'unico a finire come inizia è lo sceriffo: tutto d'un pezzo prima, che rimane coerente con sé stesso fino alla fine (un uomo che non può dimostrare il suo dolore, neanche alla moglie). Il bello di tutti questi cambiamenti è il non potersi fidare neanche del proprio istinto: chi sembra una merda si rivela una persona valida e viceversa: la totale assenza di dicotomia bene/male è l'aspetto più piacevole nel panorama di film politicamente corretti che fanno del becero politicamentecorretto il loro unico manifesto di vita. 

Le inquadrature son semplici, niente di ricercato, quasi da manuale di cinema, con pochi movimenti e qualche gioco col fuoco.

È facile vedere anche una piccola critica alle TV locali: inutili quanto un sacchetto di sterco bollente lanciato contro un ventilatore da soffitto per rinfrescare l'ambiente.

L'ironia pervade tutto il film, senza mai far diventare il film una commedia nera: la ricerca della vendetta fine a sé stessa è macabra, amorale, non si scade nel divertimento, o nell'ilarità, le situazioni son normali e vissute da tutti noi spesso, ma la reazione dei personaggi, il loro modo di interfacciarsi è divertente per chi lo vede da fuori (e in fondo, esistessero, anche per loro). Due scene rimangono impresse su tutte: la spiegazione del gioco da parte dello sceriffo alle figlie e il finale dolceamaro.

La redenzione è presente, ma solo in seguito al dolore, ma quello vero e profondo, che si insinua nella vita, che lascia tracce perenni nelle vite e nelle facce di chi l'ha subito. La violenza c'è, ed è pure tanta e cruda: quando serve (e non serve spesso, ma quando c'è fa effetto). 

Alla fine la domanda che rimane insoluta a fine visione è solo una: ma i sette dollari del coniglietto?!?!?! ci sarà un sequel per scoprirlo?

al posto del trailer un video di un tale che si diverte a montare roba e farlo nelle maniere più assurde ma al contempo perfette del ueb

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