Brazil (1985) di Terrence Vance Gilliam

(ri)visto AGGRATIS al cinema all'aperto (le non più presenti iniziative estive): purtroppo in compagnia di una congrua rappresentanza di "giovani d'oggi" intenti, durante tutti i 132 minuti, a chiacchierare, fare battute (spesso abbastanza stupide), condividersi meme o canzoni, esaltarsi perché gli attori di questo film han recitato anche altrove (non riconoscendo tra l'altro un Bilbo Baggins con un hitleriano baffetto

screenshot del film Brazil di Terry Gilliam del 1985

ovviamente la recensione va letta con questo di sottofondo



Televisori, carrello indietro, altri televisori, esplosione, reazione del governo su una delle tv rimaste integre: e già sappiamo dove siamo e che succede, senza spiegoni: il potere del cinema (cosa che andrebbe spiegata a metà dei registi di oggi che usano le parole e non le immagini per raccontare tutto il contorno del film, o per farci calare nel tempo e nel mo(n)do della pellicola.


Il film è del 1985 (forse per essere sicuro che Orwell avesse ragione); ma il titolo avrebbe dovuto essere 1984 ½ (per poter omaggiare Orwell e Fellini insieme), ma si era pensato anche a The Ministry of Torture, How I Learned to Live with the System - So Far, per omaggiare Kubrick. Il titolo Brazil deriva proprio dal motivetto Aquarela do Brasil di Ary Barroso, che diventa colonna sonora, declinata in mille modi diversi da Michael Kamen, Kate Bush, Ray Cooper in tutte le scene più significative.


Cast mostruoso: DeNiro, Hoskins, Holm, Pryce, McKeoWn, Palin (gli ultimi due direttamente dai Monty Python). Il film è l'unico di Gilliam a vincere un Oscar, per la scenografia, ed essere nominato a quello per la sceneggiatura (leggende metropolitan-cinefile narrano che Gilliam abbia litigato con la produzione per il montaggio finale, decidendo di fare visioni "private" con i giornalisti americani per convincerli della bontà dei propri tagli[esistono due versioni, una americana fedele al regista, più breve, un'altra europea apocrifa]).


Gli argomenti trattati son tanti filosofia, politica, società, massmedia, distopia futuristica, follia, critica alla società dell'epoca (ma che rimane valida perfettamente ai nostri giorni), amore, solitudine, famiglia, lavoro; al contempo i generi sono variegati: dall'onirico al sociale, dall'action alla romcom, ma tutto magistralmente mescolato insieme, amalgamato, tutto perfetto in ogni sua parte e perfetto nell'insieme. Un film che è un pot- pourri di forme e colori, di generi e modi di raccontare la stessa storia attraverso codici e linguaggi diversi, messi insieme divinamente, ognuno con le sue caratteristiche, ma separatamente unito al resto.


La scena della mosca sembra di averla vista da qualche altra parte, ma non si sa dove. Julián Doyle, fedelissimo dei Monty Python, al montaggio e agli effetti fa un lavoro della madonna, dandoci un film che è pienamente figlio degli anni '80, ma che racconta la vita, la frustrazione e i sogni di un essere umano di qualsiasi epoca; stessa cosa può dirsi per le scenografie di Norman Garwood: si vede in ogni scena che il film è stato girato negli anni '80, ma basta estraniarsi un pò e non pensarci per avere una storia universale in un'ambientazione universale.


Il colore è perennemente tendente al blu, o forse più al grigio (anche nei medievali sogni alati del protagonista), tranne quando si va fuori, nella natura, coperta dalle pubblicità di una società che sa vivere solo sugli schermi, che ha tutto in un archivio centrale, capace di uccidere un uomo per errore e scaricare tutto sempre a qualcun'altro. La fotografia di Roger Pratt (non molto noto, né riconoscibile), è semplice ma efficace, differenzia tutte le scene, tutti i diversi generi, senza però rimuovere un grigiume di fondo che rimane per tutto il film, quasi a sottolinearne l'angoscia e la tragicità.


Il film è diventato un cult, seppure all'epoca ricevette poca attenzione, e pochi biglietti staccati (non che ora riceverebbe più attenzioni, con tutti i cinecomics che ci sono in sala passerebbe inosservato, e sarebbe tacciato da molti come lento, stupido e troppo politico: adoro i mentecatti che dicono "il cinema non c'entra nulla con la politica", e certo, un film di merda sì, ma quando un film è ben fatto e racconta storie reali, vicine al regista, è ovvio che in mezzo ci sia anche della politica, in quanto la politica non è una cosa altra, o lontana, ma è quotidianità e condivisione continua con altri esseri umani). Il film, nonostante sia definito flop, in un paio d'anni di sala (erano altri tempi) ha ripreso i 15 milioni di dollari necessari a girarlo.


Ovviamente arriva il demente che si permette di dire di "averci salvato da tutti i Gilliam del mondo" e lì qualcuno dovrebbe sparargli in faccia, o almeno in una gamba, una volta a settimana. Che tipo sia il buon Terry si capisce anche da questo.



bel documentario (coi sottotitoli CC si va che è una meraviglia)

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