Clean, shaven (1993) di Lodge Kerrigan


Un amico vuole vedere un film, lo dice ad un amico, che lo dice ad un'amica che lo dice al fidanzato, e a quel punto mi trovo in un teatro occupato da quasi cinque anni, ma che non avevo mai avuto il piacere di visitare, senza sapere (volontariamente) cosa stessi per vedere...


"La trama è semplice", citando un anticristo della critica cinematografica: un padre, pazzo, alla ricerca della figlia, lascia dietro di se una scia di strane sparizioni di bambine; un detective indaga.


come sempre, prima della recensione una breve presentazione di ogni partecipante, ma stavolta niente domande e niente risposte con le lettere; tutti si parla insieme, distinguendo solo con la formattazione, ma senza sapere chi sia a parlare:
Andrea: 23, uomo, studente, panino con cipollata
Enrico: 23, uomo, studente,  zuppa di legumi
eRica: 23, donna, sudentessa, patate
Pietro: 26, uomo, studentepartimeincercadilavorofulltime, pizza con kebab


Hello, hello, Daddy, are you there? Hello, hello, Daddy, are you there? Hello. Daddy, are you there? Hello.



Boh, questo film non l’ho capito: mi è piaciuto: è lento, molto lento, pesante, molto pesante, forte, ma mi è piaciuto; non so se lo rivedrei, ma mi è piaciuto! Il protagonista è il cattivo di The Mask (ma me l’ha fatto notare il mio vicino E); gli attori son tutti bravi, ognuno nel suo ruolo ai margini del film e della società; la domanda che vince su tutte è: dove stracazzo l’ha trovata il regista una bambina così tanto inespressiva ed inquietante? L’ha trovata perfetta per il ruolo!
Ma ha fatto altri film, dopo, la bimba? No, il vuoto cosmico. È rimasta traumatizzata secondo me... Visivamente non c'è niente da dire. Non avendo mai visto nulla di Kerrigan, mi ha colpito. Soprattutto il contrasto tra l'ordine esterno della messa in scena ed il disordine di chi è inquadrato. Nella parte centrale forse un po' troppo lento, ma credo sia stata una scelta voluta; anche se non infastidisce la lentezza, conosciamo lentamente i personaggi, le loro paure, le loro abitudini. Penso che, nonostante o forse proprio grazie all'attenzione alle (dis)percezioni dei personaggi, il tema fondamentale del film sia l'impenetrabilità. E vogliamo parlare del finale? Il finale, come suggeriva sempre E sta tutta nell’incomprensione, nel non-capirsi e nell’essere troppo convinti di aver sempre e comunque ragione: triste e angosciante ma fa riflettere, e pure parecchio, sia sui malati che sulla vita in generale, sul perché determinate cose accadano e pone lo spettatore allo stesso (basso) livello della madre anaffettiva e giudicante che squadra il protagonista dalla porta, come un animale pericoloso dentro la gabbia di uno zoo, e che non guarda oltre il malato per vedere il figlio.
Fotografia potente: riprende cose semplici ma ce le fa vedere come se fossero di un film epico. Colori desaturati, come il disinteresse del protagonista e di chi gli sta intorno. Pochissime parole, tutto raccontato per immagini e suoni, ogni tanto aiutati dalla musica. Infatti la visione in lingua originale non crea problemi di comprensione alcuna. O meglio, quel poco che ho capito del film l’avrei capito anche fosse stato in russo senza sottotitoli e non credo avrei capito di più se fosse stato in italiano.
Due o tre scene gore buttate così, a caso, senza un particolare motivo (la storia non avrebbe perso nulla della sua potenza o della sua validità senza quelle immagini). Dai, cazzo, l’autolesionismo è perfettamente funzionale all’approfondimento del personaggio e conferisce quel tocco di crudezza fisica e materiale ad una storia che in sua assenza sarebbe stata forse troppo confinata alla sfera dell’intellettuale ed intangibile.



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