4 mosche di velluto grigio (1971) di Dario Argento

afoso pomeriggio di mezza estate, noia abbestia, e allora....ARGENTO!







Ad eccezione di Profondo Rosso, Argento non mi ha mai ispirato troppo, ma questo mi è stato consigliato da più parti (sia cinematograficamente affidabili che non) e ho deciso di guardarlo.
L'inizio è folgorante: un gruppo tipico anni '70 suona in uno studio, e le riprese sono da far invidia ad almeno il 90% dei videoclipmaker di oggi, con un paio di inquadrature (sotto il rullante, attaccato al basso, o dentro alla "chitarra") che son davvero meravigliose. Si passa poi al vero protagonista della pellicola: l'omicidio, accidentale (dirà poi l'assassino) di uno sconosciuto che per una settimana perseguita Roberto, uno dei componenti della band del "videoclip" iniziale. L'assassinio avviene dentro un vecchio teatro abbandonato, e al momento giusto un inquietante tizio mascherato fotografa il tutto, con l'ausilio pure di un paio di faretti pronti all'uso (da qui si capisce che tutta la messinscena era preparata e pure da tempo). Da questo momento si creano delle situazioni irreali, surreali o  assurde: Roberto non chiama la polizia, non controlla che il cadavere sia realmente un cadavere, il "fotografo/architetto" che fa spaventare il protagonista, senza però ricattarlo realmente. Le situazioni sembrano surreali, ma riflettendoci, chi, trovandosi in quella situazione, si sarebbe comportato in maniera diversa?
Il personaggio di Dio, interpretato abilmente da Bud Spencer, nella sua prima interpretazione fuori dal vecchio west, è portato qui dal primo film di Argento, o meglio dal romanzo che ha poi ispirato L'uccello dalle piume di cristallo (il romanzo è La statua che urla di Fredric Brown). Peccato che Pedersoli non abbia continuato con la carriera da attore e non da caratterista-picchiatore, chissà cosa avremmo potuto vedere, ma forse, in fondo, è stato meglio così: Carlo&Mario sono una delle coppie più importanti del cinema italiano, una di quelle che non ha mai litigato e ha fatto divertire tanti e ha permesso a chi scrive di avvicinarsi non poco al cinema. Tornando al personaggio di Dio(mede) è uno dei personaggi, insieme all'irriconoscibile professore interpretato da Oreste Lionello e al postino, meglio riusciti del film: danno un tocco di leggerezza e ironia, senza scadere nel banale o nel triviale. Dio fa anche una velata e sottile critica al sistema dei rifiuti e degli scarichi nei fiumi, senza però infastidire o appesantire la trama. 
Quattro anni prima di Profondo Rosso Argento dimostra la sua abilità dietro la mdp, abilità che perderà con l'avanzare degli anni; i movimenti di macchina son perfetti, riescono a trasmettere quel che devono, quando devono e con la massima intensità; un solo ralenty (girato a 18000 fps) conferisce enfasi ad una scena che altrimenti sarebbe stata troppo veloce e indolore; l'incubo dell'esecuzione in Arabia serve da filo conduttore e solo alla fine riusciamo a venirne a capo, insieme al protagonista; le soggettive sono le attrici principali di questa messinscena: usate al momento giusto, ben girate, riescono a farci vedere tutto, senza però far vedere niente, in una sola parola perfette.
Il film scorre, vorremmo anzi scorresse più velocemente per sapere chi è il colpevole. Gradevolissima la citazione, nell'indirizzo di casa Tobias, di uno dei più grandi registi della storia del cinema.
Il finale è un vero shock, ma non turba così tanto, è una semplice constatazione, con la fine di ogni incubo.





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