Giallo napoletano (1979) di Sergio Corbucci

stanotte ci sono gli Oscar, beh, e chi se ne fotte, io preferisco guardare un bel film e recensirlo...a voi... 





Solo i nomi dovrebbero bastare: Sergio Corbucci, Peppino De Filippo, Renato Pozzetto, Michel Piccoli, Marcello Mastroianni, Ornella Muti. La scena iniziale poi, con un fermo immagine dove abbiamo Alfred Hitchcock e Totò insieme, che si scopre poi essere un manifesto che vaga per la città, ci fa capire fin da subito la cifra del film (uno spaghetti-thriller fatto a regola d'arte).  
Anche la storia ha la sua parte: un professore di mandolino, costantemente squattrinato (a causa del padre accanito giocatore d'azzardo) è costretto a lavorare per le strade di Napoli. Per colpa di un ricatto si trova dentro un altro ricatto e di lì la storia ha inizio. Storia di ricatto, d'amori, di rancori, di sotterfugi e di costante incomprensione (a volta voluta, altre no) tra tutti i personaggi. Il film è riuscito: fa ridere quando deve, soprattutto con Pozzetto, ma anche con Mastroianni (con lui è più un riso amaro), e riesce anche a tenere sulle spine con gli inseguimenti, sia a piedi che sulle auto, girati e montati alla perfezione. 
In più la trama, complessivamente affascina, appassiona e rapisce, lo spettatore è attratto in questa rete di truffe, fregature, incomprensioni, amori, tradimenti, e si vuole arrivare alla fine per capire, per riuscire a decifrare, a stanare il vero cattivo, e riuscire anche a capire se il nostro protagonista è il vero buono o meno. 
Il finale buonista risolve un pò un film a tinte scure, che però ha il pregio di dipingere una Napoli reale, dove gli eroi non volano dai tetti, e dove i cattivi non dispongono di armi nucleari: minacce fatte coi coltelli, fughe a piedi sui tetti risolti grazie ad una rete lanciata in testa all'inseguitore. Tutto questo da al film un'aria di realtà, di verosimiglianza che non dispiace, e che porta lo spettatore a rispecchiarsi subito nel protagonista, che diventa investigatore come in molti film di Hitchcock, ma che non ha alcuna dote particolare, se non una estrema perseveranza nel cercare la verità (spinta dalla promessa del maestro di offrirgli un posto nella propria orchestra). 
La fotografia (di Luigi Kuveiller, e si vede (forse a causa sua il "riferimento" del titolo?)) è perfetta, semplice, non invadente e non fastidiosa, e neanche esasperata o epilettica nelle scene d'azione. Lo stacco di coscia della Muti vale 1000 volte la sua intera carriera di attrice, e lì il merito è sia della Muti, ma anche e soprattutto di come la Muti viene inquadrata. La musica potremmo dire che è una non-protagonista, ma forse è meglio dire che è co-protagonista, perché ha un ruolo non indifferente all'interno della storia; e qui Riz Ortolani ci fa dono di una colonna sonora non indimenticabile, ma comunque molto efficace (la musica è presente in tutta la pellicola, ma solo prestando molta attenzione la si può sentire, accompagna il tutto senza infastidire o intralciare). 
Unica pecca: le scenografie non rispecchiano l'aria di festa dell'ambientazione (perché farlo proprio a natale? fatelo in un periodo qualsiasi, un concerto ci può stare sempre, e anche una festa qualsiasi all'ospedale psichiatrico si poteva fare). 
Il titolo è esplicativo e riassuntivo di un film che racconta una storia gialla a Napoli: GIALLO NAPOLETANO.

Commenti

ARCHIVIO

Mostra di più